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Tra l’universo cattolico e la mafia non ci dovrebbe essere alcun punto di convergenza. Le sacre scritture e i codici non scritti della subcultura mafiosa sono tra di loro inconciliabili. Eppure, nella realtà dei fatti, tra la Chiesa cattolica e la mafia il rapporto non è stato sempre di radicale contrapposizione. Non lo è stato e continua tuttora a non esserlo.
Sul punto indaga un esperto di relazioni tra Chiesa e mafia, Augusto Cavadi, nel suo recente saggio “Il vangelo e la lupara“, sottotitolo: Documenti e studi su Chiese e mafie, edito da Di Girolamo. 

 

Cavadi, tra il 93 e il 94, aveva pubblicato, per i tipi delle edizioni Dehoniane, un testo con lo stesso titolo ma con diverso sottotitolo (“Materiali su Chiese e mafie”) diviso in due volumi: il primo Storia Teologia Pastorale, il secondo “Tracce di preghiere”. Con questo terzo volume Cavadi, a distanza di circa 25 anni, aggiorna la sua riflessione sul tema alla luce di quanto nel frattempo accaduto e arricchisce la pubblicazione con nuovi documenti, compresi alcuni – di particolare rilievo- emanati dalla Chiesa.
Il saggio va ad integrarsi con “Il Dio dei mafiosi”, pubblicato dallo stesso autore nel 2009 (San Paolo editore).
Diverse seppure tra di loro collegate – sono le domande alle quali si tenta di fornire una risposta nei due libri. Ne “Il Dio dei mafiosi”, la domanda è perché i mafiosi si professano cattolici; ne Il vangelo e la lupara, come si pone la comunità dei cattolici nei confronti della mafia.
Chi ha già letto Cavadi, filosofo in pratica dai tanti interessi e teologo aperto alieno a posizioni conformiste, conosce la sua tecnica argomentativa, rigorosa e semplice allo stesso tempo. Cavadi passa al setaccio diverse ipotesi, le esamina attentamente sino a trovare i punti che le rendono deboli, per poi giungere a quella che si prospetta meno vulnerabile. Un metodo che in qualche misura s’ispira agli insegnamenti socratici e reso più accattivante dalla chiarezza della scrittura, frutto delle lunghe esperienze nel mondo didattico e nel giornalismo.
Ne Il vangelo e la lupara Cavadi, dopo avere circoscritto nei suoi caratteri salienti il fenomeno mafioso, s’interroga sui suoi legami con i siciliani. Per arrivare alla conclusione secondo la quale una minoranza di siciliani è mafiosa o collusa con la mafia, una minoranza la contrasta con iniziative concrete, una maggioranza silenziosa mostra nei suoi confronti indifferenza e ignavia. Lo stesso – nota Cavadi – accade per la comunità di cattolici. A dispetto delle considerazioni superficiali e ottimistiche di chi ha ritenuto che, dopo l’omicidio di padre Puglisi e le condanne del Vaticano, il mondo cattolico si presenta compatto nell’avversione alla mafia. Cavadi, con esempi concreti – tratti, oltre che dall’attenta lettura della cronaca, da esperienze personali – dimostra come ancora non si è verificato il totale e auspicato distacco dell’intera comunità dei cattolici dai tanti tentacoli della piovra. Per quale motivo? Per capirlo, osserva acutamente Cavadi, “prima di chiedersi come liberarsi dalle infiltrazioni mafiose, la Chiesa dovrebbe chiedersi come mai i mafiosi tengano a infiltrarvisi”. E da qui parte un’analisi a trecentosessanta gradi che evidenzia le attrattive che ancor oggi la Chiesa offre alle mafie. La Chiesa è un “soggetto economico”, e come tale costituisce una “riserva finanziaria”; è un “soggetto politico” che può dar vita, se non si affranca del tutto da posizioni retrograde espressioni di un gretto conservatorismo, a pericolosi e fuorvianti “approdi”; è un “un’industria culturale” portatrice di valori (la famiglia, il culto dei morti, il rispetto degli anziani, la protezione delle donne e dei bambini, l’ospitalità, la devozione verso i santi) che, se intesi secondo una logica tradizionalista alterata, possono condurre a esiti devianti (si pensi al familismo amorale o al folklore di certe processioni così poche pervase di autentica religiosità). Per far sì che le mafie non riconoscano più nella Chiesa un’istituzione amica, è necessario che questa predichi con forza le parole del vangelo; di un vangelo però diverso da quello per tanto tempo fatto proprio dalla comunità cattolica: edulcorato, banalizzato e privato della sua dirompente carica rivoluzionaria. Il vangelo puro e per nulla accomodante al quale, con coraggio e con tante difficoltà in tempi obiettivamente difficili, quotidianamente fa appello Papa Francesco. Né, per quanto importanti, sono sufficienti le “scomuniche” alla mafia: queste, se non accompagnate da misure concrete, non proteggono i tanti parroci di piccole comunità cristiane che operano in territori ad alto rischio.
Come si vede, il saggio di Cavadi non si limita a formulare una “diagnosi” sul fenomeno che esamina: indica anche la “terapia”, che cosa fare per allontanare le mafie dagli ambienti cattolici.
Nella seconda parte del saggio sono raccolti documenti e studi interessantissimi. Per citarne solo alcuni, pagine illuminanti di don Francesco Michele Stabile e di don Cataldo Naro, l’ultima intervista a padre Puglisi di Delia Parrinello, passi del “discorso” di papa Benedetto XVI rivolto ai giovani nel corso della sua visita pastorale a Palermo nel 2010, e, soprattutto, le due omelie di Papa Francesco contro la mafia: la prima a Sibari nel 2014, la seconda a Palermo nel 2018.
Da segnalare infine, a corredo del saggio, la ricchissima bibliografia.

https://www.nientedipersonale.com/2020/01/20/il-saggio-di-cavadi-indica-anche-la-terapia-che-cosa-fare-per-allontanare-le-mafie-dagli-ambienti-cattolici/?fbclid=IwAR327tt7QsKr5cZ76T7L0qWDaYnCWRlEUuPiKHBonq6Xv7w01XO4h9zHVg8

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