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(recensione di Antonio Cangemi)

C’è antimafia e antimafia. L’esperienza testimonia che tante iniziative di contrasto alla mafia sono solo di facciata o mosse da intenti strumentali; altre sono sincere e disinteressate. L’antimafia di Augusto Cavadi rientra di diritto tra quelle genuine.

Nel suo ultimo libro “La mafia desnuda” edito da Di Girolamo, Cavadi ci racconta “l’esperienza della Scuola di formazione etico-politica ‘Giovanni Falcone’ “ (che peraltro è il sottotitolo del volumetto) cui il saggista palermitano ha dato vita. La Scuola di formazione “Giovanni Falcone” è nata nel 1992  come reazione alle stragi di Capaci e di via D’Amelio, ma è lo sviluppo del “Laboratorio di cultura politica permanente itinerante e pluralistico” avviato già anni prima per volontà dello stesso Cavadi.  Nel breve saggio “la mafia desnuda”, Cavadi illustra le ragioni che condussero a trasformare la più tiepida esperienza del Laboratorio in quella – incalzata dall’ansia di risposta all’angoscia provocata dalle stragi mafiose e supportata da una più avvertita esigenza d’impegno- della Scuola di formazione. Con l’onestà intellettuale che lo contraddistingue, Cavadi espone i momenti di maggiore vitalità di questa esperienza (non ancora conclusa) e quelli di parziale affievolimento della partecipazione e degli interessi; la sua narrazione non si fa mai ingabbiare da tentazioni narcisistiche, né scade in manifestazioni autoreferenziali. Con esemplare oggettività, Cavadi mette in rilievo i punti di forza e i limiti dell’ iniziativa. Che è un’iniziativa fondata sul volontariato. E proprio sul volontariato Cavadi, in uno dei vari documenti contenuti nel libro, ci offre la sua “diagnosi critica”, assai interessante. Le associazioni di volontariato spesso rischiano di spegnersi dopo pochi mesi di vita e di non incidere sufficientemente sul tessuto sociale e, quel che è peggio, possono essere strumentalizzate da un sistema di potere non cristallino e insensibile alle istanze sociali. Da qui – spiega Cavadi – la necessità che il volontariato vada oltre la “solidarietà corta”, abbia cioè una prospettiva politica, sia legato alla polis, non sia disancorato dal contesto civile entro cui si muove; inoltre il volontariato, affinché non si esaurisca in soccorsi immediati privi di progettualità, deve reggersi su basi culturali solide. Perciò la scuola Falcone, pur essendo  essa stessa  volontariato, si è rivelata e continua a rivelarsi fonte di sostegno di tante altre iniziative fondate sull’impegno volontario. Promuovere dibattiti, seminari, tavole rotonde sui temi della mafia rivolti ai cittadini tutti e non solo agli addetti ai lavori, educare a meditare sull’agire nella legalità – il fine perseguito dalla Scuola Falcone- serve a smuovere le coscienze, a spazzare l’indifferenza, a promuovere l’impegno civile e con esso a figliare iniziative. “La mafia desnuda” è ricca di riflessioni. Tra di esse si segnala quella riferita alla “filosofia-in- pratica”- di cui l’autore è uno dei più partecipi esponenti – e alla sua possibile interlocuzione con l’universo mafioso. La filosofia può interagire con i mafiosi? Sì, secondo Cavadi, purché si spogli di supponenza e di sovrastrutture dogmatiche. Il fatto stesso che un mafioso accetti di confrontarsi con la filosofia è segno di un suo allontanarsi dalla prigione di una mentalità – quella mafiosa – chiusa e diffidente sino  agli estremi. Nel libro, infine, sono presenti diverse indicazioni sulla Scuola Falcone: la sede, lo statuto, i soci, il sito web, i recapiti cui potersi rivolgere per dare il proprio contributo all’associazione. Non occorrono requisiti particolari per essere accolti dalla Scuola: basta solo essere animati – come lo sono tantissimi palermitani e siciliani anonimi – da spirito di “resistenza” alle logiche mafiose o paramafiose del potere privo di forza etica.

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