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“Repubblica-Palermo”

15.2.2018

IL TETTO AGLI STIPENDI DEI DIPENDENTI DELL’ASSEMBLEA REGIONALE SICILIANA E’ UNA QUESTIONE DI PUDORE

Sul dibattito fra alcuni preti palermitani, tra cui don Cosimo Scordato, da una parte, e il presidente dell’Assemblea regionale Gianfranco Micciché e il segretario generale della stessa Assemblea, Fabrizio Scimé, dall’altra, possono riuscire utili una precisazione e un ricordo storico.

 

La precisazione riguarda i contenuti. I preti palermitani, sostenuti da un documento dell’intero episcopato isolano, non si sono concentrati sulla protesta – discutibile, se non demagogica – contro gli emolumenti dei deputati regionali: personalmente, infatti, ritengo che a offendere l’intelligenza dei cittadini non siano tanto i livelli stipendiali dei politici (abissalmente inferiori a giocatori di foot-ball e a show girls televisive; in taluni casi inferiori persino a quanto essi stessi guadagnavano da “civili” come avvocati o come medici), bensì i benefit aggiuntivi (che creano vistose sperequazioni rispetto a tutti gli altri dipendenti statali) e, ancor di più, la scarsa “produttività” nel corso di ogni legislatura. No: la questione riguarda soprattutto il personale che lavora presso l’Assemblea regionale (ma anche la Presidenza della regione), dal segretario generale al più giovane dei commessi. Qui veramente non ci sono motivazioni logiche che giustificano emolumenti vergognosamente superiori a chi, nella stessa amministrazione regionale e ancor più nelle amministrazioni municipali, svolgemansioni del tutto equivalenti. Se si osserva che non è facile, dal punto di vista giuridico, cancellare dei diritti acquisiti nei decenni di sprechi clientelari, si avanza una obiezione ragionevole. Ma a patto che si aggiunga subito, anzi si premetta, che è una situazione oggettivamente iniqua. Se, invece, si aggiunge che in fondo questi stipendi aurei sono giustificati dalla difficoltà dei concorsi pubblici per accedere a quelle posizioni (suppongo limitatamente alle posizioni apicali, non certo per diventare uscieri o dattilografe), si sta stabilendo una gerarchia culturale altamente improbabile: diventare magistrati o chirurghi è uno scherzo? Dirigere una scuola media allo Zen o un istituto di reclusione in terra di mafia è meno impegnativo?

  Per rispondere richiamerei alla memoria collettiva la vicenda di un ex-collega del dottor Fabrizio Scimé: di quel consigliere referendario dell’Ars che, una decina di anni fa, all’ennesimo aumento di stipendio della sua stessa categoria, espose con una lettera aperta (ripresa anche da “Repubblica”) l’opinione che si trattasse di un privilegio eccessivo. Il dottor Livio Ghresi fu, ovviamente, preso per matto – nonostante si trattasse, e si tratti,di una delle persone più  equilibrate, e più attive dal punto di vista della produzione culturale, nel panorama siciliano – e, stanco delle polemiche, chiese la quiescenza in anticipo (pur sapendo di rinunziare a emolumenti ben più cospicui). Capisco che non tutti siamo della stessa altezza morale: ma un po’ di pudore in più ci suggerirebbe qualche esternazione in meno.

Augusto Cavadi

www.augustocavadi.com

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