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“Repubblica – Palermo”
19.9.2018

Come previsto, Francesco ha rinnovato la condanna morale dei mafiosi pronunziata da Giovanni Paolo II ad Agrigento 25 anni fa. E adesso cosa succederà?

La memoria del passato può illuminare l’immediato futuro. A suo tempo, a prendere sul serio il grido di papa Wojtyla, più che i cattolici, furono i mafiosi: che, infatti, si affrettarono a uccidere don Pino Puglisi e a mettere bombe al Verano e al Laterano. Non risulta che nel mondo cattolico - parrocchie, congregazioni religiose, scuole confessionali e oratori – la reazione emotiva abbia comportato una “conversione” di atteggiamenti mentali, metodi pedagogici, stili di vita. Politici che sbandieravano la propria fedeltà all’educazione ricevuta in prestigiosi licei cattolici sono arrivati ai vertici istituzionali della regione, e da lì sono precipitati sotto il peso di condanne giudiziarie per favoreggiamento delle cosche mafiose, senza che si siano registrate significative prese di distanza da esponenti del clero e del laicato cattolico. Insomma: la mafia che uccide e mette bombe “fa schifo”; la mafia che corrompe, che raccomanda agli esami universitari o ai concorsi pubblici, che altera l’assegnazione degli appalti…viene accettata come parte integrante, quasi naturale, del panorama dalla maggior parte del mondo cattolico. Né più né meno, insomma, di ciò che avviene nel resto della popolazione.
Cosa ci si potrebbe auspicare per il seguito di questa visita papale, nel complesso significativa? Almeno tre novità.
La prima riguarda la revisione delle situazioni illegali interne al mondo cattolico. Mi riferisco, per conoscenza diretta, alle strategie eccessivamente protezionistiche nelle scuole cattoliche, soprattutto quando arrivano commissioni esterne come in occasione degli esami di maturità: nella migliore delle ipotesi, non si vede nessuna differenza con scuole private note come diplomifici a scopi mercantili. O la condizione di molti lavoratori (cuochi, camerieri, portinai…) di istituti cattolici, specie se riconfigurati come luoghi di ospitalità turistica.
La seconda novità riguarda il rapporto delle parrocchie con i propri territori. Proprio secondo l’esperienza di don Pino Puglisi, esse dovrebbero sia registrare i bisogni del quartiere sia mettersi a fianco – pariteticamente – degli organismi civici (istituzionali o spontanei) che provano a cambiare le cose. L’idea che non fare “politica” è il modo peggiore di farla dovrebbe finalmente entrare nel patrimonio catechetico di ogni comunità cristiana: l’equidistanza fra Stato e mafia, la concentrazione esclusiva sulle questioni devozionali e liturgiche, è un regalo che non si può continuare a concedere al sistema di potere politico-mafioso.
Ma – e sono alla terza e ultima novità augurabile – gli eventuali mutamenti sul piano dei comportamenti pratici presupporrebbero come condizione necessaria (anche se, purtroppo, non sufficiente) una capillare formazione socio-politica mirata a fedeli praticanti di ogni generazione: una formazione culturale e etica che, partendo dal fenomeno mafioso, allarghi lo sguardo critico sui problemi del Mezzogiorno, del Mediterraneo, dell’Unione Europea nonché sulle connessioni con le mafie extra-europee. In un momento storico come l’attuale – in cui le “grandi narrazioni” del XX secolo sembrano eclissate e da più versanti ideologici si tende a ridurre la politica a mere scelte tecniche – la chiesa cattolica potrebbe costituire, se riattingesse alle fonti originarie del vangelo della fraternità e dell’attenzione alle vittime della storia, una riserva di motivazioni ideali. Nell’imperdonabile latitanza in proposito delle altre agenzie educative (i partiti, i sindacati, la stessa scuola) potrebbe conferire al dibattito politico – nel rispetto dell’autonomia di coscienza dei cittadini, credenti o meno - quel “supplemento d’anima” di cui sembra accusare disperato bisogno.

Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com

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